mercoledì 20 aprile 2011

Donna durante il Fascismo


La politica fascista ebbe nei confronti delle donne un atteggiamento ambivalente, perché aveva il fine di avvicinare le donne al movimento fascista per ottenere il loro consenso.
La donna doveva essere contemporaneamente madre, moglie e massaia e doveva anche farsi portavoce della missione patriottica.
Il diritto di famiglia, disciplinato nel 1865 dal Codice Pisanelli, precludeva alla donna qualsiasi tipo di decisione che avesse natura giuridica o commerciale, se non previa autorizzazione del marito o del padre. La stessa tutela dei figli era considerata una prerogativa esclusivamente maschile.
Con la guerra di Etiopia del 1935, il nazionalismo razzista ed antifemminista si fece ancora più accentuato.
Vennero eliminate tutte le attività che potevano in qualche modo allontanare la donna da quello che il fascismo vedeva come suo unico scopo: sposarsi e mettere al mondo il maggior numero di figli possibile. Al fine di incrementare le nascite, lo Stato vietò l’uso di anticoncezionali ed il ricorso all’aborto.
La presenza del fascismo si avvertiva anche nell’istruzione, perché le bambine per accedere alla scuola media dovevano pagare una tassa doppia rispetto a quella stabilita per i bambini.
Le donne del regime dovevano loro malgrado accettare di vivere secondo lo slogan del Duce: "Per obbedire, badare alla casa, mettere al mondo figli e portare le corna".

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